In Sardegna sta per compiersi un errore strategico e ambientale che rischia di compromettere decenni di progresso verso un futuro sostenibile. La costruzione del metanodotto, presentata come infrastruttura “transitoria”, è in realtà un passo indietro travestito da modernizzazione.

Mentre il mondo corre verso la decarbonizzazione e investe in energie rinnovabili, la Sardegna si affida al gas fossile, illudendosi che sia una scelta inevitabile o persino “verde”. Secondo l’Associazione Elettrica Sarda, impegnata nella promozione delle Comunità energetiche in tutto il territorio sardo, che è già intervenuta su questo argomento, questo progetto rappresenta uno spreco di fondi pubblici e una deviazione dalla traiettoria più logica ed efficace: puntare su impianti e reti intelligenti alimentati da fonti rinnovabili, gestiti localmente e distribuiti attraverso Comunità Energetiche Rinnovabili (CER).

Il falso mito della “transizione” a gas

Il metano viene spesso venduto come “ponte” tra carbone e rinnovabili. Ma in realtà si tratta di un combustibile fossile, con emissioni climalteranti significative, soprattutto se si considera anche la dispersione di metano (un gas serra oltre 80 volte più potente della CO₂) durante l’estrazione e il trasporto.

Le analisi dell’Associazione Sardi per le Rinnovabili mostrano che i fondi destinati al metanodotto potrebbero invece finanziare impianti fotovoltaici per decine di migliaia di famiglie, agricoltori e imprese sarde, incentivando un’economia energetica autonoma e moderna.

Un’opera inutile in un’isola sovrabbondante di sole e vento

La Sardegna non ha bisogno del gas per garantire la sicurezza energetica. Al contrario: ha un potenziale eccezionale per produrre energia pulita, e sta già assistendo a un’esplosione di iniziative locali, che vanno dalle microgrid agricole agli impianti di produzione condivisa nelle aree industriali.

Costruire un metanodotto oggi, significa rendere obsolete queste iniziative e rallentare la nascita di un modello energetico nuovo, distribuito, democratico.

Gavino Guiso ricorda infatti che la differenza tra il settore del GAS e quello delle rinnovabili ha una differenza sostanziale: il GAS è e sarà sempre un’affare di pochissimi privilegiati, gli impianti fotovoltaici li può realizzare praticamente chiunque. Quindi la verità è che nessun sardo può ambire a diventare padrone di un metanodotto, ma qualsiasi sardo può possedere un impianto da fonti rinnovabili. E la differenza è sostanziale per tutte le conseguenze politiche e sociali che ciò comporta con riferimento all’esercizio del diritto all’autodeterminazione dei sardi.

La decarbonizzazione non è una opzione, ma una scelta responsabile ed obbligata. Ci lavora da anni l’Associazione Elettrica Sarda, ma lo dicono da anni in coro politica, accademia e associazioni ambientaliste, LEGAMBIENTE in testa.

Cosa nasconde il metano?

I sostenitori dell’opera sottolineano la presunta “invisibilità” del metanodotto. È sotterraneo, silenzioso, non si vede. Ma è proprio questa invisibilità a renderlo pericoloso, anche dal punto di vista politico e culturale: ci abitua all’idea che si possano compiere scelte dannose purché non disturbino la vista. È un nuovo tipo di colonialismo energetico: imporre infrastrutture pensate altrove, finanziate con i soldi dei cittadini, per mantenere la Sardegna dipendente da combustibili fossili e da decisioni prese a Roma o a Bruxelles.

Le vere alternative esistono

Secondo AES e Saper, la Sardegna può diventare un modello europeo di indipendenza energetica, a patto che si investa seriamente in:

  • Accumulo energetico e batterie intelligenti
  • Produzione e consumo locale (autoconsumo collettivo)
  • Comunità energetiche rinnovabili
  • Infrastrutture digitali e reti resilienti
  • Impianti più grandi costruiti con la piena condivisione dele popolazioni locali

Il metano è una scorciatoia che porta nella direzione sbagliata. Serve il coraggio di alzare la testa dalla sabbia, e guardare in faccia il futuro. Più rinnovabili, meno fossili, No al metanodotto.

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