Come definito dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 1991 di recepimento della direttiva RED II, l’Italia si pone come obiettivo quello di accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, al fine di raggiungere gli obiettivi europei al 2030 e al 2050.
In tale ambito, risulta di particolare importanza individuare percorsi sostenibili per la realizzazione delle infrastrutture energetiche necessarie, che consentano di coniugare l’esigenza di rispetto dell’ambiente e del territorio con quella di raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Fra i diversi punti da affrontare vi è certamente quello dell’integrazione degli impianti a fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaici, realizzati su suolo agricolo.
Su questo versante il Ministero della Transizione ecologica, nel mese di Giugno 2022, ha pubblicato le “Linee Guida in materia di Impianti Agrivoltaici”. Il documento, reperibile da ieri sul sito ministeriale, è frutto del lavoro svolto da CREA, ENEA, GSE e RSE sotto il coordinamento dello stesso dicastero. Si tratta di un compendio di 39 pagine che passa in rassegna requisiti minimi di installazione e monitoraggio, affiancando anche un’analisi dei costi d’investimento e la società Guiso Advisory, che ha elaborato il progetto Comìta, vuole contribuire all’obiettivo dell’indipendenza energetica partendo dalla Sardegna attraverso la propria concreta opera di realizzazione e divulgazione.
La configurazione spaziale del sistema agrivoltaico, e segnatamente l’altezza minima di moduli da terra, influenza lo svolgimento delle attività agricole su tutta l’area occupata dall’impianto agrivoltaico o solo sulla porzione che risulti libera dai moduli fotovoltaici. Nel caso delle colture agricole, l’altezza minima dei moduli da terra condiziona la dimensione delle colture che possono essere impiegate (in termini di altezza), la scelta della tipologia di coltura in funzione del grado di compatibilità con l’ombreggiamento generato dai moduli, la possibilità di compiere tutte le attività legate alla coltivazione ed al raccolto. Le stesse considerazioni restano valide nel caso di attività zootecniche, considerato che il passaggio degli animali al di sotto dei moduli è condizionato dall’altezza dei moduli da terra (connettività).
In sintesi, l’area destinata a coltura oppure ad attività zootecniche può coincidere con l’intera area del sistema agrivoltaico oppure essere ridotta ad una parte di essa, per effetto delle scelte di configurazione spaziale dell’impianto agrivoltaico.
Nelle considerazioni a seguire si fa riferimento, per semplicità, al caso delle colture ma analoghe considerazioni possono essere condotte nel caso dell’uso della superficie del sistema agrivoltaico a fini zootecnici.
TIPO 1) l’altezza minima dei moduli è studiata in modo da consentire la continuità delle attività agricole (o zootecniche) anche sotto ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella quale esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra l’impianto agrivoltaico e la coltura, e cioè i moduli fotovoltaici svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si può esplicare nella prestazione di protezione della coltura (da eccessivo soleggiamento,
grandine, etc.) compiuta dai moduli fotovoltaici. In questa condizione la superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell’impianto che poggiano a terra e che inibiscono l’attività in zone circoscritte del suolo.
TIPO 2) l’altezza dei moduli da terra non è progettata in modo da consentire lo svolgimento delle attività agricole al di sotto dei moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella quale esiste un uso combinato del suolo, con un grado di integrazione tra l’impianto fotovoltaico e la coltura più basso rispetto al precedente (poiché i moduli fotovoltaici non svolgono alcuna funzione sinergica alla coltura).
TIPO 3) i moduli fotovoltaici sono disposti in posizione verticale (figura 11). L’altezza minima dei moduli da terra non incide significativamente sulle possibilità di coltivazione (se non per l’ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma può influenzare il grado di connessione dell’area, e cioè il possibile passaggio degli animali, con implicazioni sull’uso dell’area per attività legate alla zootecnia. Per contro, l’integrazione tra l’impianto agrivoltaico e la coltura si può esplicare nella protezione della coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che operano come barriere frangivento.
Per differenziare gli impianti fra il tipo 1) e il 2) l’altezza da terra dei moduli fotovoltaici è un parametro caratteristico.
In via teorica, determinare una soglia minima in termini di altezza dei moduli da terra permette infatti di assicurare che vi sia lo spazio sufficiente per lo svolgimento dell’attività agricola al di sotto dei moduli, e di limitare il consumo di suolo. Tuttavia, come già analizzato, vi possono essere configurazioni tridimensionali, nonché tecnologie e attività agricole adatte anche a impianti con moduli installati a distanze variabili da terra.
Considerata l’altezza minima dei moduli fotovoltaici su strutture fisse e l’altezza media dei moduli su strutture mobili, limitatamente alle configurazioni in cui l’attività agricola è svolta anche al di sotto dei moduli stessi, si possono fissare come valori di riferimento per rientrare nel tipo 1) e 3):
1,3 metri nel caso di attività zootecnica (altezza minima per consentire il passaggio con continuità dei capi di bestiame);
2,1 metri nel caso di attività colturale (altezza minima per consentire l’utilizzo di macchinari funzionali alla coltivazione).
Si può concludere che:
Gli impianti di tipo 1) e 3) sono identificabili come impianti agrivoltaici avanzati che rispondo al REQUISITO C.
Gli impianti agrivoltaici di tipo 2), invece, non comportano alcuna integrazione fra la produzione energetica ed agricola, ma esclusivamente un uso combinato della porzione di suolo interessata.
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